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Amundsen vs Scott: la sfida dei giornalisti per la conquista della Rete - Cammino nel mondo

October 19, 2016

Un giornalista che vuole esplorare il mondo della Rete può seguire due strade: può cercare di colonizzare internet portandoci dentro la propria cultura e le proprie convinzioni come agli albori del Novecento fece l’esploratore inglese Robert Falcon Scott nella sua disastrosa spedizione al Polo Sud. Oppure può entrare nel nuovo ambiente con intelligenza e senza pregiudizi, affidandosi ai giusti compagni di viaggio e alle giuste tecnologie. Atteggiamento che permise al norvegese Roald Amundsen di conquistare per primo il Polo Sud e soprattutto di riportare a casa sano e salvo il suo equipaggio.
L’azzeccata metafora dell’epica sfida tra Scott e Amundsen per la conquista del Polo Sud, con cui Federico Badaloni, giornalista e architetto dell’informazione del Gruppo L’Espresso (più correttamente user experience designer) ha introdotto la sua relazione alla Scuola di Alta Formazione Giancarlo Zizola che l’UCSI ha tenuto quest’anno ad Assisi, racconta perfettamente gli affanni di una categoria (quella dei giornalisti) che – nonostante siano ormai passati molti anni – non riesce tuttora a metabolizzare il passaggio dall’informazione analogica e lineare a quella digitale che – ha detto Badaloni – ha la forma di grafo, una figura geometrica caratterizzata da una miriade di interconnessioni. E dove più che i contenuti contano le relazioni e la fiducia che si riesce a guadagnare sulla Rete.
I dati del tredicesimo rapporto Ucsi Censis dicono che – seppure tengano la televisione e la radio (ascoltata soprattutto in auto) – cresce a dismisura la domanda di informazione digitale. La quasi totalità dei giovani italiani (quasi il 90 per cento) ormai si informa solo su Intenet dove la comunicazione è disintermediata, dove tutti possono tranquillamente scrivere, parlare e fare attività giornalistica senza intermediari e dove il giornalista fatica sempre più a ritagliarsi uno spazio di autorevolezza. Paradossalmente mentre da un lato la realtà in cui viviamo si complica maledettamente e avrebbe bisogno di analisi complesse (basta pensare al fenomeno delle migrazioni), dall’altro i social network tendono a semplificare e banalizzare alimentando pregiudizi, slogan ed etichette.
Il risultato – dice il Censis – è una sempre maggiore contrapposizione tra il popolo e l’elìte (quella che oggi viene chiamata casta) che sta portando ad una pericolosa deriva, quella del populismo.
Amundsen e gli inuit digitali
Durante i tre giorni di scuola si è parlato molto del rapporto tra i media e i minori e della necessità di preservare i ragazzi dai pericoli della Rete e dai messaggi spesso diseducativi che arrivano nei loro smartphones. Ma anche della necessità di ascoltarli, capirli e formarli. Il mondo degli educatori, quello della scuola, quello delle istituzioni e quello della Chiesa hanno rivolto un accorato appello alla stampa, affinchè riscopra la sua componente etica. Anche in un mondo per certi versi ancora inospitale  come quello digitale.
Sta dunque ai giornalisti, soprattutto ai giovani ai quali era rivolta la scuola Ucsi, provare a innovare, a intessere relazioni, a dare agli utenti della Rete, soprattutto ai ragazzi, nuove esperienze che li possano appassionare e interessare. A dare al loro lavoro una connotazione etica e di servizio. In definitiva provare a fare come l’esploratore Amundsen che, agli inizi del Novecento, scelse di non portare nelle lande ghiacciate del Polo Sud i suoi convincimenti e le sue usanze, ma guardò gli usi e i costumi di chi già ci viveva ed era riuscito ad adattarsi a quel clima inospitale, gli inuit. Inuit che oggi – ha spiegato Badaloni – per un giornalista digitale ...